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Il metaverso distopico, di Alberto Gambino.

Il metaverso distopico

di Alberto Gambino

Presidente e socio fondatore di IAIC

 

 

Web e social inducono alla metamorfosi antropologica degli utenti?

Di solito il tema riguarda tuttalpiù l’uso scorretto della rete, le sue insidie, le sue contraddizioni; ma in pochi si spingono a prendere atto della capacità della tecnologia di tramutare l’essenza dei comportamenti umani, il modo di pensare. Un modo di pensare plurimillenario e semplicissimo: il sudore della fronte quale segnale che indica la strada dell’affermazione nel lavoro e, talvolta, del successo.

L’utente post-millennial, invece, non suda granchè ma sta comodamente seduto oppure saltella allegramente dietro una webcam e s’ingegna per avere il consenso del web. Perché la popolarità porta soldi. Si badi bene: non significa che sia più facile solo perché fisicamente meno faticoso. I più – e specie le generazioni non digitali – registrano fallimenti, anche economici, con il web. Significa però che è cambiata l’antropologia della chiave del successo.

Già, ma cos’è il successo? Diventare chirurgo o salvare la vita del paziente? Prendere un titolo abilitante o costruire una casa solida? Avere tanti fan virtuali o ricevere sguardi di stima? La nuova antropologia del nativo digitale, formatasi nel mondo virtuale, può non soccombere alle delusioni della vita di tutti i giorni, che richiede resilienza e anticorpi analogici e non informatici?

La transizione finale si compirà con il realizzarsi di quel mantra oggi ancora opaco che va sotto il nome di Metaverso. A quel punto ci sarà un riallineamento tra il “modo di pensare” di un pezzo dell’umanità e la comunità nella quale essa vivrà, dove anche una terapia sanitaria andata male o una casa che crolla non mieterà vittime umane, ma solo virtuali.

Il cerchio, però, non si sarà ancora chiuso: la congiuntura astrale perfetta oltre all’avatar dei propri corpi dovrà comprendere anche gli avatar delle nostre intelligenze.

Ma qui l’itinerario s’interrompe bruscamente perché s’intuisce la fine dell’umano: chi comanda la rete, chi ne beneficia, quali sono le vere vittime? Domande sociali drammatiche, ineludibili, che riallineano non più l’antropologia al web ma il web all’antropologia: se il progresso tecnologico porta demenza e analfabetismo allora ne va della democrazia, e, senza infingimenti oggi alla moda, occorre ritrovare la misura del giusto equilibrio reale-virtuale. E’ obbligo morale, parresia socratica che ritrova le radici nel vero e nell’autentico che può esserci e ci sarà sempre anche nel dilagante scenario tecnologico. Se soltanto lo si vorrà.

E tornerà il sudore della fronte e tornerà il libro scritto a mano, non perché vergato da un individuo su fogli di carta anti-ecologici ma perché digitato su un touch screen da un’intelligenza umana, non artificiale.

 

 

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